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La pizza "a credito" della tradizione

11 Marzo 2013
Il sapore dell'amicizia
Ci sono dei piatti che occupano un posto di rilievo nei nostri ricordi, essendo essi legati ad episodi o persone a noi cari, come spesso avviene per le ricette della nonna. Oggi voglio narrarvi di una squisitezza partenopea che ha un significato particolare per me, in quanto rappresenta la nascita di una bella amicizia, quella con la mia amica e collega Doriana Tucci.

Circa un anno e mezzo fa una rappresentanza del Cavolo Verde si è ritrovata per un pranzo nella bella casa di Doriana ed io essendo l'unica "terrona" del gruppo, sono stata gentilmente ospitata per tre giorni, sufficienti per suggellare una nuova amicizia che da virtuale (nata su facebook) è diventata concreta. In quei pochi giorni abbiamo condiviso soprattutto la nostra passione per la buona cucina e così, per omaggiare, la famiglia Ursini con la mia napoletanità, ho preparato un po' di pizze fritte "sciuè sciuè", non che la padrona di casa non fosse capace di farle, anzi è la signora dei fornelli, ma solo perchè elaborate da mani napoletane esprimevano tutto il colore, il sapore e la veracità della tradizione partenopea. Ebbene quelle pizze sono diventate l'emblema della nostra amicizia e così ogni qualvolta decido di prepararle, inevitabilmente il mio pensiero va a Doriana ed alla sua bella famiglia, anche se non ho raccontato loro la storia di queste squisitezze.

La montanara o "pizza a ogge a otto" è una delle pietanze tipiche della tradizione partenopea.
La classica pizza fritta che un tempo si mangiava e si pagava dopo otto giorni, una sorta di pizza a credito.
La storia di questa squisitezza nasce nella Napoli povera degli anni difficili del dopoguerra, dove le mogli dei pizzaioli per rinforzare le finanze di casa, allestivano delle cucine temporanee, alimentate a carbone fuori dalle loro abitazioni con aperture dirette sulla strada (i famosi bassi), dove in grosse caldaie piene di strutto friggevano dei pezzi di pasta di pizza farciti solo con pomodoro o ripiene con ricotta e cicoli, il popolo senza risorse economiche si alimentava e dopo otto giorni pagava.

Della pizza napoletana fritta e del suo significato antropologico è rimasta comunque una testimonianza illustre nell’episodio del film “L’oro di Napoli”, di Vittorio De Sica, in cui Giacomo Furia, venditore di pizze fritte, va all’affannosa ricerca di un anello che la moglie infedele, la bellissima e affascinante Sophia Loren, finge di aver perso nell’impasto, con questo film si può rivivere la Napoli del dopoguerra.

Nel linguaggio gastronomico moderno la montanara è la pizza fritta farcita in superficie con pomodoro e mozzarella, invece la pizza fritta così denominata è una pizza chiusa a portafoglio e ripiena con ricotta, salame e mozzarella o ripiena con ricotta e cicoli. Attualmente si trova nei menù delle pizzerie con la denominazione di calzone o ripieno e le farciture proposte sono varie, con funghi, prosciutto cotto o verdure come scarole.

Nella mia ricetta propongo le montanare ma l'impasto base va bene anche per le pizze ripiene.

500 gr farina,
250 ml acqua,
1/2 lievito di birra,
30 gr olio evo,
sale un pizzico.
Salsa di pomodoro,
parmigiano.

Mettere la farina sulla spianatoia, fare la fontana e introdurre il lievito, il sale e l'olio, versare l'acqua e amalgamare bene fino ad ottenere un impasto morbido e liscio, lasciarlo lievitare coperto fino al raddoppio e poi dividerlo in tanti pezzetti, modellarli a forma di pizzette e friggerle in olio caldo, scolarle e farcirle con salsa e parmigiano.
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